venerdì 30 aprile 2010

PERCHE' RIFORMARE IL FISCO?


La stagione delle riforme istituzionali nel nostro Paese è giunta ad un momento cruciale con il provvedimento di attuazione del
federalismo fiscale. Il federalismo fiscale rappresenta infatti il necessario approdo di un percorso, avviato negli anni ’90 con il decentramento
amministrativo a Costituzione invariata e proseguito nel 2001 con la riforma del Titolo V, Parte seconda, della Costituzione. Tuttavia, una
riforma costituzionale è davvero in grado di incidere solo se viene attuata.
Il nuovo assetto della finanza pubblica delineato dalla delega sul federalismo fiscale rappresenta una vera e propria svolta, portando
finalmente ad una prima attuazione l’art. 119 della Costituzione, riguardante l’autonomia di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali.
Sino ad oggi, il nostro Paese è stato caratterizzato invece da un sistema di finanza derivata, fondato prevalentemente sui trasferimenti
finanziari dallo Stato alle autonomie. Così, tuttavia, si è prodotto uno scollamento tra la titolarità delle funzioni esercitate dagli enti
territoriali e la titolarità del potere impositivo del modo di reperimento delle risorse finanziarie. In passato, i trasferimenti dallo Stato agli enti
territoriali si sono troppo spesso realizzati sulla base della spesa storica (per cui tanto un’amministrazione ha speso, tanto ha ricevuto!),
causando un aumento della spesa pubblica complessiva, senza promuovere l’efficienza, in assenza di qualsiasi meccanismo premiante o
incentivante. E’ evidente che quello scollamento agevola fenomeni di deresponsabilizzazione degli amministratori regionali e locali ed
impedisce un efficace controllo da parte dei cittadini.
Il federalismo fiscale, superando il criterio della spesa storica e della finanza derivata e garantendo una effettiva autonomia impositiva delle
regioni e degli enti locali, rappresenta la riforma che il Paese attende da troppo tempo.
Si potranno finalmente dare risposte concrete alle richieste di autonomia ed efficienza che provengono dal territorio, rendendo un servizio
importante anche per quelle realtà del Paese che a tutt’oggi presentano un deficit di sviluppo. Un meccanismo virtuoso di finanza pubblica,
infatti, che avvicina gli elettori ai loro amministratori, non può che avvantaggiare tutto il Paese, penalizzando solo gli amministratori
inefficienti.
In un periodo di crisi economica come quello che stiamo attraversando, la riforma risulta ancora più necessaria al fine di ridurre e
qualificare maggiormente la spesa pubblica, rendendo l’Italia più competitiva nel confronto con gli altri Paesi europei in termini di qualità ed
economicità dei servizi resi al cittadino dalle amministrazioni pubbliche. Il federalismo fiscale è quindi uno strumento essenziale per
migliorare il funzionamento della pubblica amministrazione, dal Nord al Sud, così da farne un reale volano per lo sviluppo economico e sociale
del Paese.


Questa agile pubblicazione ha l’intento di avvicinare anche i non addetti ai lavori ad un tema complesso e tecnicamente sofisticato
come il federalismo fiscale e di divulgarne i contenuti nel modo più semplice possibile. Ma d’altronde, la complessità del tema non deve
scoraggiare perché, in definitiva, si tratta degli interessi di milioni di cittadini, dei loro rapporti con la pubblica amministrazione, della qualità
dei costi dei servizi. Insomma: parliamo della qualità della nostra democrazia.
Maggio 2009,
Umberto Bossi
Ministro per le riforme per il federalismo

lunedì 26 aprile 2010

La Costituzione italiana



Non si puo' dire che una persona e' grassa, sarebbe scortese: si dice che...e'costituzione. Cosi' mi dicevano quando ero piccolo e io ho sempre associato, da bambino, questa parola a qualcosa che si poteva "usare" per poter dire qualcosa che altrimenti non poteva essere detto. Oggi che sono piu' grande, mi rendo conto che la costituzione, quella italiana intendo, e' proprio come pensavo allora: c'e' qualcuno - e sono in tanti - che "usano" la costituzione della repubblica italiana come alibi per non fare o far fare qualcosa, ovvero le riforme. Riforme che questo Paese necessita piu' di qualsiasi altra cosa.


Quando un cambiamento va a limitare certi privilegi, si dice che e' anticostituzionale. Riforma della giustizia, anticostituzionale. Riforma della scuola, anticostituzionale. Riforma della legge antipirteria, anticostituzionale.

Ma dico, siamo proprio sicuri che questa costituzone sia quel Vangelo immutabile, eternamente valido e omnicomprensivo? Ma voi lo fareste un viaggio lungo come la vita su una macchina con un motore del '47? Affidereste la salute dei vostri figli a un medico che per curare l'influenza H1N1, invece del vaccino creato in laboratorio, somministrasse latte caldo, miele e un po' di riposo?

Anticostituzionale, anticostituzionale, sarebbe ora che la cambiassimo questa costituzione, se in nome del suo sacro testo l'Italia e' nelle condizioni in cui si trova.

L'Italia e' un Paese allo sfascio...ah no, e' costituzione...

La transizione infinita


Vari sono stati i tentativi, in questi ultimi quindici anni, di riformare la forma di governo, ma, ad oggi, la politica non è stata in grado di elaborare e realizzare in modo condiviso un compiuto progetto di riforma costituzionale per un nuovo e più moderno assetto tra i poteri istituzionali.

Nel 1994, durante il primo Governo Berlusconi si insedia il cosiddetto “Comitato Speroni”, presieduto dal Ministro per le riforme istituzionali sen. Francesco Speroni, che approva un testo di revisione costituzionale composto da 50 articoli, ma la caduta del Governo, nel dicembre del 1994, non consente di aprire una discussione sulle proposte.

Nel 1996, all’inizio della XIII legislatura, vengono presentate varie mozioni e progetti di riforma costituzionale tra i quali, su proposta dell’on.le Berlusconi, anche l’istituzione di un’Assemblea Costituente, sino, all’ insediamento nel febbraio del 1997, della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali presieduta dall’on.le Massimo D’Alema, che porta ad un accordo di massima tra i maggiori partiti del momento (Pds, Fi, Ppi e An) su una legge elettorale, a doppio turno, con un presidente di garanzia, accordo però disatteso da Silvio Berlusconi che ritiene migliore il modello tedesco del cancellierato e il sistema elettorale proporzionale. Alla fine della legislatura viene, comunque, approvata, a maggioranza, la legge costituzionale di riforma del titolo V della Costituzione che ridisegna i rapporti tra Stato Regioni e autonomie locali, attribuendo una forte potestà legislativa alle Regioni e che, sottoposta a referendum confermativo, ottiene la maggioranza dei consensi degli italiani.

Nel 2001, durante il secondo Governo Berlusconi, viene approvata, a maggioranza, una legge costituzionale che modifica la forma di Stato in senso federale (c.d. devolution) e la forma di governo con il riconoscimento di poteri al premier tra i quali lo scioglimento del Parlamento su richiesta o a seguito delle dimissioni del Capo del governo: questa scelta di riforma costituzionale, sottoposta a referendum confermativo, non ottiene la maggioranza dei consensi e conseguentemente non entra in vigore.

Nella breve passata legislatura viene approvata nell’ottobre 2007 dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera la c.d. “bozza Violante”, che poteva costituire (e potrebbe ancora oggi costituire) un buon testo per una approfondita discussione sul tema delle riforme istituzionali. Il testo approvato dalla Commissione, infatti, prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto e l’istituzione del Senato Federale; il rafforzamento del potere esecutivo, anche in relazione al risultato elettorale; la proposta e la revoca dei ministri da parte del Presidente del consiglio, nonchè l’accelerazione, su iniziativa del governo, del procedimento di formazione delle leggi .

Nella corrente Legislatura si parla di nuovo dell’esigenza di procedere ad una revisione della forma di governo. In particolare, viene di volta in volta proposta la riduzione del numero dei parlamentari, il rafforzamento dei poteri del Parlamento e del Governo, la rivisitazione del bicameralismo perfetto, l’istituzione di una Camera espressione delle istanze regionali come si evince da una serie di mozioni parlamentari presente dai gruppi di maggioranza e di minoranza.

Non è mancata sul tema la voce del Presidente della Repubblica che in più occasioni ha sottolineato l’esigenza di avere un nuovo assetto istituzionale condiviso, volto al compimento della svolta autonomistica e federalistica avviata con il nuovo Titolo V della Costituzione, nonché la necessità di mettere mano alla riforma del sistema bicamerale mediante una diversa articolazione delle funzioni di Camera e Senato e un nuovo ruolo di quest’ultimo quale Camera di rappresentanza delle autonomie.

Nel quadro, ormai non più differibile per il futuro del nostro Paese, delle riforme istituzionali ben potrebbe trovare collocazione la riforma del rapporto tra politica e giustizia per ristabilire un equilibrio che allo stato risulta alterato con la modifica avvenuta nel 1993 dell’art.68 della Costituzione che ha soppresso l’autorizzazione a procedere nei confronti dei parlamentari; riforma che però non può prescindere dal superamento della pessima legge elettorale vigente, che mortifica gli elettori e la stessa sovranità popolare riconosciuta dalla Costituzione.

L’avvio della campagna elettorale per le prossime elezioni regionali sicuramente accantonerà il dibattito sulle riforme costituzionali per lasciare spazio ad un clima rissoso e demagogico tipico delle nostre discussioni pre-elettorali. La successiva pausa da ogni competizione elettorale per i prossimi tre anni (salvo imprevisti si andrà, infatti, al voto nel 2013) dovrà essere l’occasione per adeguare l’Ordinamento della Repubblica previsto dalla nostra Carta Costituzionale ad un contesto sociale e sovranazionale completamente diverso da quel lontano 1947, che vide registrare, sulla base di fondamentali valori comuni, una equilibrata sintesi del pensiero cattolico, liberale e marxista.

Un’occasione che la nostra classe politica non potrà mancare.